La cuffia dei rotatori è costituita dai tendini di quattro muscoli che, originando dalla scapola, si inseriscono sulla testa omerale. È costituita dai tendini dei muscoli sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare.
Questi tendini possono andare incontro a infiammazione, lesione traumatica e lesione degenerativa con rottura parziale o completa.
Nel 90% dei casi la rottura è di natura degenerativa (soprattutto nei soggetti meno giovani), mentre nel 10% è di natura traumatica (soprattutto nei soggetti più giovani).
Le rotture degenerative della cuffia dei rotatori sono la naturale evoluzione di una tendinopatia cronica della cuffia e di un conflitto esterno sotto-acromiale e interessano principalmente il tendine del muscolo sovraspinato. In questi casi il progressivo indebolimento tendineo (legato alla degenerazione) fa in modo che, soprattutto durante i movimenti di abduzione del braccio, la testa omerale risalga eccessivamente e, non venendo stabilizzata dal tendine del sovraspinato, porta a un ulteriore conflitto delle strutture acromiali.
Le rotture traumatiche della cuffia dei rotatori riguardano soprattutto pazienti giovani, sportivi “overhead” durante la pratica sportiva (come giocatori di basket, pallavolo, baseball) che riportano lesioni da sovraccarico ripetuto, oppure sono conseguenza di cadute sul moncone di spalla nel corso di incidenti. Questo tipo di infortunio è spesso associato a lussazione anteriore o a frattura dell’omero.
Il dolore è il sintomo principale: compare dopo normale attività sportiva, particolarmente dopo periodi di intensificazione dell’attività, a gradi estremi di articolarità e spesso in regione anteriore, laterale della spalla, ma anche sotto-acromiale e in abduzione/extra-rotazione e sopra i 90° di flessione. Talora compare di notte. Tendenzialmente migliora con il riposo.
L’intra-rotazione dell’omero è spesso ridotta, mentre l’extra-rotazione è aumentata rispetto al lato sano. Coesistono spesso alterazioni del ritmo scapolo-omerale.
Gli esami strumentali di riferimento sono la radiografia, per escludere la presenza di calcificazioni dei tessuti molli e studiare la forma del profilo dell’acromion della scapola;
l’ecografia, per valutare la cuffia dei rotatori, il capo lungo del bicipite brachiale e la borsa subacromiale; RMN e TAC per effettuare un esame completo dell’articolazione.
Il trattamento della rottura parziale della cuffia può essere conservativo o chirurgico.
Il trattamento conservativo è generalmente progettato e monitorato per consentire una buona autonomia nella vita di tutti i giorni e una ripresa sportiva.
Il trattamento chirurgico è riservato alle lesioni parziali che non rispondono alla terapia conservativa prolungata per alcuni mesi e alle lesioni complete. Queste sembrano avere invece una prognosi peggiore e quasi sempre un’indicazione chirurgica.
La sutura della cuffia dei rotatori consiste nella riparazione chirurgica delle lesioni della cuffia dei rotatori. Può essere eseguita sia a cielo aperto che in artroscopia. In quest’ultimo caso il danno ai tessuti periarticolari è limitato e la riabilitazione è meno difficoltosa.
L’obiettivo del chirurgo è ricreare il cosiddetto “footprint”, ovvero l’esatta anatomia dell’inserzione dei tendini sull’omero.
Fondamentale nel programmare la riabilitazione è la collaborazione con il chirurgo che deve fornire informazioni riguardo le caratteristiche del tessuto, il grado di tensione delle suture effettuate e gli obiettivi che sono stati condivisi con il paziente prima dell’intervento. È fondamentale anche il monitoraggio, dovendo da un lato rispettare la guarigione biologica della sutura e dall’altro dare stimoli precoci soprattutto nell’ambito del recupero del ROM (arco di movimento).
Dopo la rimozione del tutore è possibile iniziare il recupero dell’articolarità con movimenti in flesso-estensione e pendolari evitando l’extra-rotazione. È la fase più delicata, vanno evitati movimenti bruschi e forzature e termina con il consulto del chirurgo solo al completamento del ROM articolare. Successivamente è necessario rinforzare i muscoli del cingolo scapolare, il deltoide, il bicipite/tricipite, il dorsale e il pettorale e successivamente gli intrarotatori ed extrarotatori di spalla attraverso esercitazioni dapprima isometriche e successivamente isotoniche con elastici a intensità crescenti.
Recuperata la forza si deve completare l’iter terapeutico con la ripresa dell’attività sportiva pre-intervento.
La rottura del capolungo del bicipite omerale coinvolge più spesso la sua porzione prossimale ( Segno di Popeye)
È più frequente nei soggetti sopra i quarant’anni che hanno una storia di dolore cronico da sindrome da impingement. Questo porta a una sofferenza cronica del tendine sia da sovraccarico che da degenerazione tendinosica. La rottura avviene più spesso in seguito a uno sforzo intenso e nei pazienti più anziani è associata a una sofferenza di tutta la cuffia dei rotatori.
La sintomatologia della rottura del capolungo del bicipite consiste nella comparsa di dolore violento, improvviso, ben localizzato e spesso accompagnato da un rumore “tipo elastico che si rompe” con successiva comparsa di una protuberanza anteriore. In alcuni casi la rottura può anche essere asintomatica.
La diagnosi è prevalentemente clinica.
Un’eventuale ecografia può essere utile nei pazienti con dolore cronico di spalla nei quali si sospetti una lesione della cuffia dei rotatori.
Il trattamento elettivo è conservativo e si sviluppa attraverso le consuete 5 fasi della riabilitazione:
Fase 1: Risoluzione del dolore e dell’infiammazione
– Fase 2: Recupero dell’articolarità
– Fase 3: Recupero della forza muscolare
– Fase 4: Recupero della coordinazione, equilibrio e pattern neuromotori
– Fase 5: Recupero delle gestualità sport-specifica
Residua frequentemente una deformità estetica ma si riescono a ottenere la flessione completa del gomito e il recupero della forza.
Il trattamento chirurgico è riservato ai soggetti giovani che svolgono attività fisiche pesanti o attività sportiva ad alto livello e che necessitano di recuperare la forza al 100% (con il solo trattamento conservativo può restare un lieve deficit di forza in flessione e in supinazione) o nei soggetti più anziani nei quali vi sia associata una sofferenza cronica della cuffia dei rotatori.
L’articolazione della spalla è costituita da tre ossa – omero, clavicola e scapola – connesse da muscoli, tendini e legamenti.
La testa omerale è una sfera ed è accolta parzialmente in una cavità chiamata glenoide che fa parte della scapola. Le rimane accostata grazie a un robusto manicotto fibroso rappresentato dalla capsula e all’azione stabilizzante dei potenti muscoli che la circondano.
È ricoperta in alto da una sporgenza ossea, proveniente dalla scapola, chiamata acromion, sotto la quale scorrono i tendini della cuffia dei rotatori, costituita dai muscoli sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare. I primi tre con azione prevalentemente abduttoria, l’ultimo con azione adduttoria dell’omero.
Anteriormente passano i due tendini del muscolo bicipite e del gran pettorale, l’intero complesso è completamente rivestito e protetto dal muscolo deltoide. Tutte queste strutture si muovono reciprocamente senza attriti grazie alla presenza di una borsa che, contenendo fluido oleoso, funziona come un cuscinetto.
La spalla è un’articolazione molto complessa la cui peculiarità è legata all’enorme libertà di movimento, permesso dalle dimensioni ridotte della glenoide rispetto alla testa omerale, che consente di portare la mano in quasi tutti i punti dello spazio.
La frattura dell’omero, che rappresenta il 5% delle fratture, interessa soprattutto soggetti dopo i 50 anni, in particolar modo di sesso femminile e si verifica generalmente a livello del collo chirurgico dell’omero.
In questa tipologia di pazienti il meccanismo traumatico è spesso una banale caduta (soprattutto in soggetti con osteoporosi), spesso con gomito esteso e mano atteggiata in difesa, mentre nei soggetti più giovani le cause più comuni sono i traumi violenti, le cadute dall’alto, gli incidenti stradali e i traumi sportivi.
La sintomatologia è caratterizzata da dolore intenso sopra l’area della lesione e immediata impotenza funzionale, con arco di movimento limitato su tutti i piani dello spazio e ridotta forza dei muscoli della spalla. Il dolore peggiora anche con minimi movimenti della spalla.
L’esame radiologico standard è rappresentato da una radiografia seguita a volte dalla TAC (utile soprattutto nei casi in cui il trattamento chirurgico sia l’impianto di una protesi). Il tipo di trattamento dipende dalla composizione della frattura.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione, si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione.
La tipologia di trattamento chirurgico è variabile in base alla sede della frattura (piccola tuberosità dell’omero, grande tuberosità dell’omero, testa omerale e collo anatomico) e al numero di frammenti ossei (2,3,4 parti).
La frattura prossimale dell’omero si verifica principalmente in donne con osteoporosi (80% dei casi). Il trattamento è quasi sempre chirurgico e consiste nella stabilizzazione dei frammenti con fili di Kirshner o con chiodo di Rush, nella osteosintesi con placca e viti, oppure, nei pazienti con età superiore ai 40 anni con frattura in quattro parti, si esegue l’intervento di endoprotesi (protesi di spalla). Indipendentemente dal tipo di intervento effettuato è indispensabile la mobilizzazione precoce per prevenire la rigidità post-traumatica.
La mobilizzazione passiva viene iniziata al più presto, nell’arco libero da dolore. Il medico gestore mantiene un contatto continuo con il chirurgo, per stabilire insieme i tempi e le modalità del recupero articolare.
Per verificare il mantenimento dei rapporti e la stabilità della frattura sintetizzata vengono eseguiti frequenti controlli radiografici. È opportuno eseguire anche una risonanza magnetica per controllare le condizioni dell’osso della testa omerale che in caso di frattura prossimale dell’omero può andare incontro a necrosi.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione, che può cominciare già dopo una settimana con esercizi pendolari e caute mobilizzazioni per diventare più intenso dopo tre settimane.
A partire dalla terza settimana dall’intervento possono essere messi in atto esercizi di cauta mobilizzazione assistita, privilegiando i movimenti in elevazione sul piano scapolare e facendo molta attenzione invece nelle rotazioni.
Dopo il controllo radiografico a trenta giorni, se l’ossificazione procede bene, il programma riabilitativo prevede il rinforzo di cuffia dei rotatori, stabilizzatori della scapola e propriocezione.
Andranno eseguiti quindi esercizi pendolari, esercizi di riattivazione degli stabilizzatori della scapola, massaggio del cingolo scapolare, soprattutto del trapezio superiore e dell’elevatore della scapola spesso contratti.
È molto utile il trattamento rieducativo in acqua che consente un maggiore rilassamento muscolare.
Dalla 6° settimana post-operatoria si può agire maggiormente sulla mobilizzazione, rispettando comunque il dolore e il completamento della cicatrizzazione dei tessuti;
l’inserimento nel protocollo di esercizi attivi per la cuffia dei rotatori andrà concordato con il chirurgo onde evitare scomposizioni della frattura sempre possibili nei primi mesi dall’intervento.
Le fasi di recupero della coordinazione e della gestualità sportiva possono essere eseguite alternando sedute in palestra con sedute in campo, dove la coordinazione tra i movimenti del tronco e dell’arto superiore, e quindi della catena cinetica complessiva, vengono analizzati e rieducati al meglio.
Il periodo di trattamento richiede non meno di 4-6 mesi di terapie per il recupero dell’articolarità e della funzionalità.
La prognosi è di circa 3 mesi di terapie per il pieno recupero dell’articolarità e di 4 mesi per il ritorno allo sport in pazienti sportivi.
La capsulite adesiva consiste in un’infiammazione aspecifica della capsula articolare della spalla. Può essere idiopatica o secondaria a traumi dell’articolazione e interventi chirurgici soprattutto se trattati con immobilizzazione prolungata. E’ caratterizzata da una progressiva scomparsa dell’articolarità a causa della perdita di flessibilità della capsula.
La capsulite adesiva colpisce più frequentemente le donne, nel periodo che va dai 40 ai 60 anni, e i pazienti con segni clinici di depressione.
Nei pazienti con diabete mellito insulino dipendente si può instaurare una forma di capsulite adesiva più tenace e difficile da trattare. Altre cause predisponenti possono essere l’ipotiroidismo, la malattia di Parkinson, un recente infarto miocardico, la terapia con Fenobarbital.
Esistono tre fasi della patologia:
• Fase 1 (attiva): si forma un tessuto cicatriziale attorno alla capsula che progressivamente si organizza. Il paziente riferisce sensazione di dolore diffuso che aumenta durante la notte e il ROM inizia a ridursi.
• Fase 2: la spalla è andata incontro a una artrodesi fibrotica e il ROM è significativamente limitato. Più la spalla diventa rigida, più diminuisce il dolore.
• Fase 3 (risoluzione): la spalla riprende gradualmente la mobilità con una sintomatologia
dolorosa modesta (questa fase si può presentare in un tempo molto variabile fino ad arrivare a 18-24 mesi dall’esordio).
I segni classici di questa patologia sono dolore e progressiva perdita di articolarità in assenza di traumi noti.
La diagnosi nella fase attiva è spesso difficile: il paziente presenta una limitazione del movimento su tutti i piani (soprattutto intra ed extra-rotazione), sia attivo che passivo, di almeno il 50% rispetto al controlaterale.
Sono presenti difficoltà nelle attività quotidiane, come nel vestirsi e svestirsi e nei movimenti sopra il capo.
Per evidenziare depositi calcifici o escludere altre patologie verranno prescritte radiografie in proiezioni standard.
Il processo di recupero è di solito molto lento e può richiedere più di 2 anni. La riabilitazione consiste in attività finalizzate al recupero dell’articolarità, sia in palestra che in piscina, che a domicilio.
Possono essere indicate terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenza, Onde D’urto, Ultrasuoni)
Dopo 12 mesi di trattamento con scarsi risultati può essere indicata la mobilizzazione in anestesia o l’artrolisi artroscopica.
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo, grazie alle dimensioni ridotte della cavità glenoidea rispetto alla testa omerale, che consente ampia libertà di movimento a discapito di una ridotta stabilità.
La lussazione gleno-omerale rientra nel quadro dell’instabilità della spalla assieme alla sublussazione e alla “patologia da iperlassità”. L’instabilità deriva da un episodio traumatico solitamente ad alta energia, in cui vengono lesi i legamenti gleno-omerali (in particolare, il legamento gleno-omerale inferiore), il labbro glenoideo con avulsione della capsula gleno-omerale (lesione di Bankart).
È importante conoscere la posizione dell’arto al momento del trauma per poter individuare la direzione della lussazione, che può essere:
Nel caso del primo episodio traumatico di lussazione di spalla l’immobilizzazione per tre settimane in un tutore può portare a una cicatrizzazione dei tessuti molli e ciò contribuisce a prevenire l’instabilità ricorrente, la complicanza più importante della lussazione (in particolare, soggetti con primo episodio di lussazione prima dei 20 anni presentano percentuale di recidive attorno al 90%). La scelta del tutore dipende dall’ortopedico.
Nei pazienti sportivi il trattamento elettivo è quello chirurgico perché, se operati in acuto, ci sono le migliori condizioni per la guarigione, che invece vengono meno quando la lesione è inveterata (per degenerazione del cercine e marcata retrazione capsulare, condizioni tipiche della instabilità cronica).
I pazienti che non presentano una lesione di Bankart rispondono meglio al trattamento riabilitativo.
In genere, la riduzione della lussazione, e cioè il riposizionamento della testa omerale nella sua cavità, viene effettuato con manovre specifiche e non sempre facili.
È importante sapere se si tratta del primo episodio o se ci sono stati precedenti traumatici, quale lavoro svolgi e che sport pratichi.
Per la conferma diagnostica il medico consiglierà l’esecuzione di una TAC o una RMN per stabilire il programma terapeutico più adeguato.
La riabilitazione dopo una lussazione della spalla svolge un ruolo determinante, sia perché il riutilizzo dell’arto superiore ha bisogno di un’articolazione libera e non dolente, sia perché la più frequente complicanza che si verifica dopo un episodio di lussazione è il permanere di un’instabilità che prima o poi darà luogo a una recidiva.
Inizialmente la spalla si presenterà rigida, poco mobile, molto dolente, con una muscolatura ipotrofica e, non ultimo, difesa da un paziente molto spaventato. Il nostro compito è quello di personalizzare il programma per raggiungere il delicato equilibrio che consente la maggior articolarità e contemporaneamente la maggior stabilità possibile.
Episodi di lussazione recidivante o di instabilità cronica della spalla vanno valutati per scegliere il trattamento chirurgico più adeguato.
La chirurgia può restituire il controllo all’articolazione scapolo-omerale, aumentando l’effetto contenitivo delle strutture deputate alla stabilità statica, come la capsula e il cercine glenoideo.
L’ortopedico verificherà da quanto tempo la spalla ha iniziato a dare dei problemi, in quale direzione si sposta, lo stile di vita che si conduce e lo sport praticato. Inoltre, valuterà i danni anatomici descritti dalla TAC o dalla RMN. Sulla base di tutte queste informazioni deciderà il tipo di intervento per il quale potrà seguire sia una procedura a cielo aperto che artroscopica.
Dopo l’intervento il dolore sarà piuttosto intenso, ma verrà controllato con i farmaci antidolorifici e l’applicazione di ghiaccio.
In seguito all’intervento in artroscopia, si dovrà portare un tutore per tre settimane. Alla sua rimozione di si potrà iniziare il percorso riabilitativo.
Il percorso riabilitativo per instabilità della spalla ha lo scopo di raggiungere il massimo recupero funzionale e il suo inizio molto precoce è dovuto al fatto che in questo modo si può agire tempestivamente per lavorare in maniera specifica sull’extra rotazione.
Il percorso riabilitativo attraversa cinque fasi:
Prima fase: (4° settimana post operatoria)
Alla rimozione del tutore la spalla è generalmente già poco dolente, persistono solo contratture antalgiche ed edemi declivi. Si procede quindi con terapie fisiche e lavoro decontratturante sul cingolo scapolare, associato a mobilizzazioni attive ed attive/assistite. In questa fase il recupero si ottiene anche attraverso l’idrokinesiterapia dove si sollecita la spalla anche a 90° di elevazione e abduzione. I pazienti/atleti già in questa fase iniziano il lavoro aerobico di ricondizionamento atletico in acqua.
Seconda fase: Recupero completo dell’articolarità (4°-5° settimana post operatoria)
Il primo obiettivo da raggiungere in questa fase è ridare al paziente la piena articolarità della spalla per poter svolgere le attività della vita quotidiana (guidare, lavorare, ecc.). Questo obiettivo si raggiunge inserendo, oltre all’articolarità attiva, anche quella passiva svolta dal rieducatore, su tutte le direzioni. Verrà data maggior importanza allo stretching capsulare e al recupero delle rotazioni.
Terza fase: Recupero della forza (5°-8° settimana post operatoria)
Ad articolarità completa si inizia a rinforzare tutto il cingolo scapolare, correggendo le eventuali discinesie presenti anche prima dell’intervento, rinforzando i muscoli del braccio, associando sempre lavori di stretching della capsula assistiti. Il ritorno all’attività sportiva non può prescindere in questa fase anche dal lavoro di core stability.
Quarta fase: Recupero delle capacità propriocettive (7°-9° settimana post operatoria)
La spalla, che ormai ha un adeguato livello di forza, inizia a subire delle sollecitazioni su tutte le direzioni, a intensità crescente (palla a muro, superfici instabili, lanci, ecc.). In questa fase della riabilitazione si comincia il lavoro specifico senza l’uso degli attrezzi. Si esegue la propedeutica al campo con sedute di neuroplasticità in acqua. Viene eseguito un test di valutazione funzionale per monitorare lo stato di forma raggiunto.
Quinta fase: Recupero del gesto specifico (8°-12° settimana post operatoria)
La spalla ormai ha raggiunto il massimo recupero in ambiente protetto: dovendo ritrovare il gesto specifico, inizia la riabilitazione sul campo sportivo. Questa fase prevede una progressione che vede l’utilizzo di superfici instabili, lancio a diversi gradi con palle a diametro progressivo, inserimento di contrasti con sagome fisse, contrasti contro sagome in movimento, utilizzo dell’attrezzo sportivo (racchette, mazze da golf, ecc.) sia con vincoli e resistenze sia libero.
A questo punto sarà recuperata la completa gestualità e si potrà ricominciare a praticare qualsiasi sport.
Con il termine Slap Lesion si indica la condizione anatomica di lesione del margine antero-superiore del cercine glenoideo associato al distacco del tendine del capo lungo del bicipite (Superior Labral Anterior to Posterior). È una lesione che può comparire in seguito a un gesto violento negli sport di lancio o in seguito a caduta sull’arto.
Raramente la comparsa dei sintomi è successiva a un traumatismo ben definito; più spesso la storia clinica riconduce a molteplici episodi traumatici durante attività “overhead”. Molto spesso puoi essere in grado di riprodurre la lussazione volontariamente e più comunemente ciò avviene in posizione di lancio.
I sintomi legati alla Slap Lesion sono dolore a riposo, che aumenta nei movimenti sopra il capo con associata sensazione di “incastro” della testa omerale, sensazione di lassità e rumori articolari. Il paziente può presentare difficoltà nelle attività della vita quotidiana come vestirsi e svestirsi.
La diagnosi clinica viene integrata da Rx e RMN ma la maggiore accuratezza diagnostica è data dalla artro-RMN con aggiunta di proiezioni dinamiche particolari.
Nei casi più lievi l’intervento chirurgico può essere evitato con l’abolizione dei gesti sportivi o lavorativi “overhead” che stressano la lesione.
La riabilitazione deve enfatizzare il rinforzo dei muscoli intrarotatori cercando di recuperare il più in fretta possibile l’articolarità completa senza però forzare l’extrarotazione. Esercizi di stretching della capsula e della cuffia posteriore possono alleviare i sintomi.
Il trattamento chirurgico della Slap Lesion consiste nella regolarizzazione del cercine glenoideo, nell’ancoraggio del margine distaccato del labbro glenoideo con viti riassorbibili e tenodesi e ancoraggio del capo lungo del bicipite brachiale (CLB) quando più del 50% della sua inserzione è stato coinvolto associato o meno a intervento sulla cuffia dei rotatori e può essere condotto o per via artroscopica o a cielo aperto.
A volte si cerca di limitare chirurgicamente l’extra-rotazione e in tal caso si eseguono procedure complesse agendo o sui tessuti molli come avviene nell’intervento di Putti-Platt (plastica della cuffia e accorciamento del sottoscapolare) o creando un “blocco” osseo come avviene nell’intervento secondo la tecnica di Bristow Latarjet (trasposizione della coracoide).
Dopo l’intervento viene generalmente posizionato un tutore in moderata abduzione in posizione neutra per 3-4 settimane.
In seguito all’intervento chirurgico di Slap Lesion è indispensabile eseguire un accurato programma di riabilitazione.
Dopo l’intervento viene generalmente posizionato un tutore in moderata abduzione in posizione neutra per 3-4 settimane. Tra la 3° e la 6° settimana post-operatoria verrà concesso un graduale recupero della mobilità passiva su tutti i piani.
A questo punto si può incrementare il lavoro di articolarità per raggiungere la mobilità completa dopo 10-12 settimane da intervento. A partire dalla 3° settimana si può iniziare un rinforzo isometrico submassimale con attenzione agli esercizi che possono sollecitare il capo lungo del bicipite; la mobilità attiva viene tuttavia mantenuta sotto i 90° di elevazione fino a circa 6 settimane dall’intervento quando si completa la fase di protezione.
Nei pazienti sportivi il programma riabilitativo sarà più aggressivo e accelerato e mira a recuperare la completa articolarità a 6-8 settimane dall’intervento (se non si inizia a mobilizzare subito la spalla aumenta il rischio di avere una rigidità di spalla con deficit soprattutto della extrarotazione).
Per il ritorno all’attività sportiva (sport di contatto e sport di lancio) servono circa 6 mesi dalla data dell’intervento.
L’articolazione acromion-claveare (AC) è dotata di capsula rinforzata da un robusto complesso di legamenti e con un disco fibrocartilagineo.
Le lesioni dell’articolazione acromion-claveare (AC) vengono classificate sia in relazione all’entità della rottura legamentosa (lesione incompleta o completa) che in base alla direzione della dislocazione della clavicola, dando origine a 6 diversi quadri diagnostici (e dai quali dipenderà il successivo trattamento, conservativo o chirurgico).
La lussazione della clavicola consiste nella rottura più o meno completa di alcuni fasci legamentosi che mantengono uniti i capi contrapposti dell’acromion e della clavicola. La conseguenza è una dislocazione verso l’alto della clavicola che si associa a dolore ed impossibilità a muovere la spalla.
Il meccanismo traumatico è più frequentemente diretto, con forza che va dall’alto verso il basso (caduta a terra, ciclismo, calcio, contatto traumatico), molto più raramente, indiretto in seguito a caduta a terra con gomito e polso estesi.
È più frequente nei maschi tra i 20 e 30 anni.
La sintomatologia della lussazione della clavicola è caratterizzata da dolore locale e deformità del profilo acromion-claveare. La muscolatura del distretto va generalmente incontro a contrattura antalgica.
I quadri clinici sono comunque molto variabili in relazione all’entità del danno.
L’esame radiologico di base prevede proiezioni specifiche per l’articolazione acromion claveare. Anche l’esame ecografico può evidenziare le lesioni legamentose e dare indicazioni sul grado della lussazione. La risonanza magnetica è indicata nel caso si sospettino lesioni capsulo legamentose associate come la lesione della cuffia dei rotatori.
Il trattamento è generalmente conservativo e consiste nell’immobilizzazione dell’articolazione per circa 20 giorni. Ciò permette alle strutture lacerate di cicatrizzare nella posizione migliore, ma richiede, alla rimozione del bendaggio, un ciclo di rieducazione per ripristinare il movimento e per recuperare la forza, inevitabilmente compromessi sia dal trauma che dal riposo forzato.
Se la lesione è stata complessa per riavvicinare i capi articolari diventa indispensabile il ricorso alla chirurgia seguito da un trattamento riabilitativo.
La ripresa dello sport è possibile quando il movimento articolare non è più doloroso, generalmente dopo 4-8 settimane.
Il trattamento chirurgico è indicato in base alla gravità del quadro clinico e alle richieste funzionali del paziente.
Le lesioni dell’articolazione acromion-claveare vengono classificate sia in relazione all’entità della rottura legamentosa (andando dalla lesione incompleta a quella completa) che in base alla direzione della dislocazione della clavicola, dando origine a diversi quadri diagnostici.
La maggior parte di questi ha uno sviluppo terapeutico simile che inizia con l’immobilizzazione con un tutore dell’articolazione per 2/4 settimane; sintomo comune è il dolore che può persistere per un lungo periodo di tempo.
Eliminato il tutore è necessario iniziare precocemente il programma riabilitativo con l‘obiettivo primario di controllare il dolore attraverso terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenza,Sistema Super Induttivo, CrioUltrasuoni), massaggio rilassante e decontratturante delle strutture periarticolari e riflessogeno del piriforme; parallelamente si può iniziare un lavoro di mobilizzazione a ROM ridotto a partire dalla terza settimana con graduale aumento dell’articolarità sia in piscina che in palestra.
Una volta arrivati al ROM completo è possibile iniziare il recupero della forza attraverso esercizi isometrici dei muscoli della cuffia dei rotatori e stabilizzatori della scapola; progressivamente verranno inseriti esercizi isotonici e di rinforzo anche per il sovraspinoso e deltoide ed esercizi eccentrici della cuffia dei rotatori.
Il programma riabilitativo si conclude con esercitazioni in campo di lancio e presa di oggetti su diverse superfici, di educazione al movimento e prevenzione delle recidive
Le fratture della clavicola sono tra le più comuni cause di lesioni ossee. La frattura si localizza più di frequente al passaggio fra terzo medio e laterale (80%), che è il punto più debole. Quando la frattura è completa, il frammento mediale si porta in alto per azione dello sternocleidomastoideo, mentre il frammento laterale va in basso per l’azione del deltoide e del peso del braccio.
Il meccanismo traumatico avviene per lo più per caduta sul braccio in estensione (caduta da cavallo, dalla moto, dalla bicicletta). Il dolore in sede di frattura potrebbe essere talmente intenso da renderti incapace di muovere l’arto. L’area appare gonfia con presenza di deformità a livello dei capi di fratture che altera il normale profilo della spalla.
La frattura è generalmente evidenziata da una radiografia standard ma in alcuni casi è sufficiente un’ecografia muscolo-tendinea. Per le fratture più difficili da individuare è opportuno eseguire una TAC, mentre nel sospetto di una lesione della cuffia dei rotatori ti verrà consigliata una RMN.
La guarigione della frattura della clavicola avviene tanto più velocemente quanto più i frammenti sono allineati, e questo richiede che la spalla venga trazionata all’indietro dal bendaggio funzionale “a 8”, fastidioso ma necessario. La clavicola guarisce in circa tre settimane, ma se i monconi sono molto scomposti verrà prolungata l’immobilizzazione. Alla rimozione del bendaggio è presente un callo osseo esuberante percepito alla palpazione come gradino e spesso anche ben visibile. Si evita, se possibile, di trattare chirurgicamente questa lesione.
La riabilitazione della frattura della clavicola è molto importante: alla rimozione del bendaggio è opportuno cominciare un ciclo di terapie per recuperare al più presto l’articolarità della spalla, la forza dei muscoli e il controllo neuromotorio della spalla.
La frattura della clavicola è un trauma abbastanza frequente sia negli sport di contatto sia in quelli dove le possibili cadute sono brusche come lo sci, il ciclismo e il motociclismo.
Nella fase acuta del trauma, in attesa dell’intervento medico è importante immobilizzare la parte lesa per evitare il più possibile movimenti che intensificherebbero la frattura e il dolore.
La frattura della clavicola si rimargina spontaneamente, dopo 4/6 settimane, con un tutore o bendaggio funzionale a otto, anche se i due monconi non vengono riposizionati in modo da combaciare perfettamente: può rimanere un danno estetico dovuto al callo osseo e alla parziale sovrapposizione dei monconi di frattura.
Raramente il trattamento è chirurgico a causa dell’esiguità del tessuto sottocutaneo che espone l’osso a infezione e al rischio di pseudoartrosi.
Per questo motivo la maggior parte delle fratture di clavicola viene trattata con un protocollo riabilitativo specifico. Dopo la rimozione definitiva del bendaggio il trattamento consiste in una prima fase di recupero della piena articolarità su tutti i piani della spalla in piscina, attraverso esercizi di fluidità e mobilità attiva e passiva.
Successivamente il protocollo prevede il recupero della forza degli stabilizzatori della scapola, del cingolo scapolare, attraverso esercitazioni in palestra con elastici a resistenze crescenti, nonché il pieno recupero del controllo neuromotorio attraverso la presa di coscienza della posizione dell’arto sia attraverso la continua correzione della postura da parte del rieducatore con richiami verbali (durante l’esecuzione degli esercizi) sia eseguendo gli esercizi davanti allo specchio per autocorreggersi.
Il percorso rieducativo termina con esercitazioni propriocettive e sport specifiche (soprattutto per l’extrarotazione) in campo per la ripresa sportiva. Solitamente le fratture di clavicola si risolvono positivamente in 8-12 settimane dopo il trauma.
Nella definizione di spalla instabile rientrano le lussazioni della spalla, le sublussazioni della spalla e la patologia da iperlassità.
Sono state proposte diverse classificazioni e noi ci riferiremo all’instabilità che interessa i pazienti con segni di lassità congenita generalizzata, associata a instabilità di spalla bilaterale e multidirezionale (anteriore, posteriore e inferiore).
L’instabilità della spalla può anche essere acquisita in sportivi quali ginnasti, pallavolisti, sollevatori di pesi e nuotatori.
Il meccanismo patogenetico è da ricercarsi nella reiterazione dei movimenti sopra il capo che a causa della lassità articolare creano sollecitazioni meccaniche anomale su strutture nervose e tessuti molli periarticolari (microtraumi ripetuti) fino a dare origine al dolore.
I sintomi più comuni consistono nel dolore alla spalla e/o disturbi tipo “braccio morto” o parestesie all’arto superiore durante le attività della vita quotidiana o sportiva che fino ad allora erano risultate asintomatiche.
Anche uno o più episodi di lussazione, o più spesso sublussazione senza un trauma significativo, rientrano nel quadro sintomatologico.
Per avere accertamenti sullo stato delle strutture capsulari, tendinee e muscolari, e del cercine, il medico prescriverà esami strumentali.
Nel caso dell’instabilità della spalla, il trattamento conservativo rappresenta un primo approccio nella gestione della complessa situazione clinica.
Il percorso riabilitativo è finalizzato principalmente al miglioramento della biomeccanica articolare con esercizi per i muscoli che stabilizzano l’articolazione. In particolare negli sport “overhead” bisogna rinforzare tutti i muscoli della cuffia perché sono coinvolti nel controllo della traslazione omerale.
Per ovviare al deficit della coordinazione è fondamentale il recupero del controllo neuromuscolare della spalla. Gli esercizi per la coordinazione possono trovare la giusta applicazione nella rieducazione sul campo, dove il paziente viene sottoposto a esercitazioni dinamiche e maggiormente specifiche.
Soltanto nel caso in cui dopo almeno 6 mesi di terapia conservativa non fossero raggiunti risultati soddisfacenti, verrà proposto l’intervento chirurgico, che dovrà essere comunque seguito da un trattamento riabilitativo adeguato.
Chirurgia per instabilità della spalla Episodi di lussazione recidivante o di instabilità cronica della spalla vanno valutati per scegliere il trattamento chirurgico più adeguato.
La chirurgia può restituire il controllo all’articolazione scapolo-omerale, aumentando l’effetto contenitivo delle strutture deputate alla stabilità statica, come la capsula e il cercine glenoideo.
L’ortopedico verificherà da quanto tempo la spalla ha iniziato a dare dei problemi, in quale direzione si sposta, lo stile di vita che si conduce e lo sport praticato. Inoltre, valuterà i danni anatomici descritti dalla TAC o dalla RMN. Sulla base di tutte queste informazioni deciderà il tipo di intervento per il quale potrà seguire sia una procedura a cielo aperto che artroscopica.
Dopo l’intervento il dolore sarà piuttosto intenso, ma verrà controllato con i farmaci antidolorifici e l’applicazione di ghiaccio.
In seguito all’intervento in artroscopia, si dovrà portare un tutore per 3 settimane. Alla sua rimozione si potrà iniziare il percorso riabilitativo.
Riabilitazione per instabilità della spalla Il percorso riabilitativo per instabilità della spalla ha lo scopo di raggiungere il massimo recupero funzionale e il suo inizio molto precoce è dovuto al fatto che in questo modo si può agire tempestivamente per lavorare in maniera specifica sull’extrarotazione.
Il percorso riabilitativo attraversa cinque fasi:
Prima fase: (4° settimana post operatoria)
Alla rimozione del tutore la spalla è generalmente già poco dolente, persistono solo contratture antalgiche ed edemi declivi. Si procede quindi con terapie fisiche e lavoro decontratturante sul cingolo scapolare, associato a mobilizzazioni attive ed attive/assistite. In questa fase il recupero si ottiene anche attraverso l’idrokinesiterapia dove si sollecita la spalla anche a 90° di elevazione e abduzione. I pazienti/atleti già in questa fase iniziano il lavoro aerobico di ricondizionamento atletico, in acqua.
Seconda fase: Recupero completo dell’articolarità (4°-5° settimana post operatoria)
Il primo obiettivo da raggiungere in questa fase è ridare al paziente la piena articolarità della spalla per poter svolgere le attività della vita quotidiana (guidare, lavorare, ecc.). Tale obiettivo si raggiunge inserendo, oltre all’articolarità attiva, anche quella passiva svolta dal rieducatore, su tutte le direzioni. Verrà data maggior importanza allo stretching capsulare e al recupero delle rotazioni.
Terza fase: Recupero della forza (5°-8° settimana post operatoria)
Ad articolarità completa si inizia a rinforzare tutto il cingolo scapolare, correggendo le eventuali discinesie presenti anche prima dell’intervento, rinforzando i muscoli del braccio, associando sempre lavori assistiti di stretching della capsula. Il ritorno all’attività sportiva non può prescindere in questa fase anche dal lavoro di core stability.
Quarta fase: Recupero delle capacità propriocettive (7°-9° settimana post operatoria)
La spalla, che ormai ha un adeguato livello di forza, inizia a subire delle sollecitazioni su tutte le direzioni, a intensità crescente (palla a muro, superfici instabili, lanci, ecc.). In questa fase della riabilitazione si comincia il lavoro specifico senza l’uso degli attrezzi. Si esegue la propedeutica al campo con sedute di neuro plasticità in acqua. Viene eseguito un test di valutazione funzionale per monitorare lo stato di forma raggiunto.
Quinta fase: Recupero del gesto specifico (8°-12° settimana post operatoria) La spalla ormai ha raggiunto il massimo recupero in ambiente protetto: ora deve iniziare a ritrovare il gesto specifico e quindi inizia la riabilitazione sul campo sportivo. Questa fase prevede una progressione che vede l’utilizzo di superfici instabili, lancio a diversi gradi con palle a diametro progressivo, inserimento di contrasti con sagome fisse, contrasti contro sagome in movimento, utilizzo dell’attrezzo sportivo (racchette, mazze da golf, ecc.) sia con vincoli e resistenze sia libero.
A questo punto sarà recuperata la completa gestualità e si potrà ricominciare a praticare qualsiasi sport.
Ogni volta che l’arto superiore viene sollevato oltre un certo grado si verifica un restringimento dello spazio fra la testa omerale e l’acromion dove, protetti dalla borsa, scorrono i tendini della cuffia dei rotatori. Nella ripetizione di certi gesti atletici o di più normali mansioni lavorative, sia per squilibri muscolari che per l’irregolarità del profilo acromiale, l’aumento dell’attrito all’interno di questo spazio provoca dei fenomeni di infiammazione delle strutture in esso contenute (Impingement).
Questo fenomeno è definito “Sindrome da conflitto subacromiale” e, a lungo andare, può comportare la comparsa di calcificazioni estremamente dolorose associate alla progressiva degenerazione del tendine fino alla rottura. Il dolore insorge anche di notte.
Questa serie di eventi provoca inevitabilmente il mancato uso dell’arto superiore, facilitando la formazione di aderenze intra-articolari con ulteriore aggravamento del quadro clinico.
Il medico specialista va consultato tempestivamente, perché una terapia riabilitativa iniziata in modo precoce e ben condotta è in grado di interrompere il circolo vizioso che abbiamo descritto, evitando il ricorso a terapie farmacologiche e infiltrative che diventano indispensabili nelle fasi più avanzate della malattia.
Se le indagini eseguite rivelano la presenza di alterazioni anatomiche importanti, come lesione dei tendini della cuffia dei rotatori più o meno completa, o la presenza di calcificazioni molto voluminose, il trattamento più indicato sarà quello chirurgico seguito da un lungo ciclo di rieducazione.
La causa principale di impingement è lo squilibrio muscolare dei muscoli che sottendono ai movimenti della spalla, sia di origine traumatica sia overstress (sportivi che lanciano con il braccio). Questo, unito a una lassità dei legamenti della gleno-omerale, può generare una condizione di sofferenza della spalla.
Più che in altre patologie per la guarigione è necessario un programma riabilitativo individualizzato e mirato al riequilibrio muscolare.
L’obiettivo della prima fase del programma riabilitativo è la riduzione del dolore, attraverso l’utilizzo di terapie fisiche (tens, laser, ultrasuoni), e il recupero del ROM articolare completo attraverso mobilizzazioni attive e passive su tutti i piani sotto soglia di dolore, stretching capsulare e muscolare e massaggio rilassante e decontratturante.
Raggiunti gli obiettivi di questa prima fase è necessario procedere alla fase principale del programma rieducativo, quella del recupero e del riequilibrio della forza rispettando la regola di rilassare il muscolo antagonista (attraverso massaggio e stretching) prima di rinforzare il muscolo agonista.
Il programma riabilitativo prevede il recupero della muscolatura di tutto il cingolo scapolare, soprattutto del sovraspinoso, dei muscoli stabilizzatori della scapola (romboidei), degli abbassatori della testa dell’omero (gran dorsale), degli extrarotatori e degli intrarotatori della cuffia.
Raggiunto il tono e l’equilibrio muscolare ottimale, si conclude il programma riabilitativo in campo attraverso l’esecuzione di esercizi propriocettivi e di recupero della coordinazione fino ad arrivare ai gesti sport specifici, cercando di fare attenzione ai sovraccarichi.
L’espressione “Sindrome dello stretto toracico” comprende una serie di sindromi, spesso bilaterali, determinate dalla compressione di strutture nervose e/o vascolari da parte di strutture ossee o muscolari. Questa compressione può essere causata anche da un’alterazione dell’equilibrio posturale del cingolo scapolare e dall’attività prolungata dell’arto superiore sopra il capo o da problemi artrosici del rachide cervicale che possono determinare una contrattura riflessa degli scaleni.
La sindrome dello stretto toracico è più frequente nelle donne tra i 20 e i 50 anni, nei soggetti dediti al body building con costa sovrannumeraria e ipertrofia del cingolo scapolare e nei pazienti che praticano pallanuoto.
La sintomatologia, tipicamente intermittente, è legata alla posizione dell’arto superiore ed è caratterizzata da una combinazione di sintomi e segni clinici riferiti al rachide cervicale, alla spalla, al braccio e alla mano, isolati o combinati fra loro, che solitamente peggiorano se si solleva l’arto sopra il capo per ulteriore riduzione dello spazio anatomico destinato al passaggio delle strutture vascolo-nervose.
La sindrome dello stretto toracico nel tempo può causare emicrania cronica, deficit di forza e di coordinazione dell’arto superiore, impossibilità a svolgere attività lavorative con gesti sopra il capo (imbianchino, magazziniere, ecc.), oppure portare al fenomeno di Raynaud fino alla comparsa di ulcere cutanee al braccio e alla mano.
Clinicamente è presente dolore nei gradi estremi dell’arco di movimento: la flessione e l’abduzione attiva della spalla sono limitate e si hanno compensi (sopraelevazione del moncone della spalla). Spesso i pazienti hanno difficoltà nel togliersi gli indumenti e si ha tendenza a proteggere la spalla atteggiando il braccio in adduzione e gomito leggermente flesso.
Per giungere a una diagnosi corretta il medico prescriverà test clinici affidabili e vari esami, dalla radiografia convenzionale alla TC tridimensionale.
Il trattamento elettivo è quello conservativo che mira alla correzione di atteggiamenti posturali quali l’abbassamento della spalla, l’eccessiva retroposizione della spalla e comportamenti di vita sbagliati (portare oggetti pesanti, gesti sopra il capo prolungati, dormire sul lato dolente o con arto in iperabduzione).
Qualora il trattamento conservativo non dovesse portare a miglioramenti, verrà posta indicazione al trattamento chirurgico.
Nel caso della sindrome dello stretto toracico, il percorso riabilitativo inizia non prima di 3-4 settimane dall’intervento chirurgico.
Nel post-operatorio viene indossato un tutore di protezione con arto intraruotato fino alla desutura.
Potrebbero essere eseguiti alcuni esami complementari quali EMG se persistono deficit sensitivi e/o di forza all’arto superiore, un’eco-color-doppler arterioso e venoso se persistono disturbi quali riduzione del polso radiale o congestione/edema della mano e avambraccio e per il monitoraggio clinico.
Il trattamento riabilitativo post-chirurgico della sindrome dello stretto toracico differisce dal trattamento conservativo.
Il trattamento riabilitativo post-chirurgico della sindrome dello stretto toracico differisce dal trattamento conservativo in quanto, almeno in una fase iniziale, è più mirato al recupero dell’articolarità che alla correzione degli atteggiamenti posturali scorretti.
La differenza principale deriva dal fatto che dopo un periodo di parziale immobilità dell’arto superiore del lato operato ci si dedicherà al recupero della stabilità dinamica cervico-scapolo-toracica prima di iniziare il lavoro attivo in flessione e abduzione della spalla.
Nella fase iniziale risulta pertanto molto utile eseguire terapie riabilitative anche in piscina, per velocizzare il recupero dell’articolarità.
Il primo periodo di terapie è più intenso. Per uno sportivo il numero delle sedute è maggiore (sia in termini di frequenza settimanale che di numero di settimane di terapie) e comunque la ripresa dello sport non è consigliabile prima di tre mesi dall’intervento.